Gli imputati fanno parte di una comunità di lavoro e condivisione ispirata agli ideali degli indiani d’America.
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ROMA, 15 ottobre 2008
Il GUP di Grosseto Pietro Molino ha assolto sei membri di una comunità ispirata allo stile di vita degli indiani d’America dall’accusa di coltivazione illecita di 79 piante di cannabis perché il fatto non costituisce reato.
Le motivazioni della sentenza verranno rese note solo fra 90 giorni, ma, verosimilmente, il giudice ha accolto la tesi sostenuta dalla difesa, rappresentata dall’avvocato Carlo Alberto Zaina, tendente a sottolineare i caratteri peculiari della vicenda, quali il contesto comunitario e la sua particolare autonomia e organizzazione.
La linea sostenuta dall’avvocato Zaina ha infatti posto in evidenza il fatto che gli imputati sono persone che da anni hanno fondato una comunità di lavoro e condivisione ispirata agli ideali degli indiani d’America, allo stile di vita dei quali si sono sempre conformati, mettendo in piedi un’attività lavorativa artigianale che va dalla produzione di vetri molati, porte artistiche e infissi, ad altri settori di artigianato di qualità.
Il consumo di marijuana da parte del gruppo non comporta, quindi, attività esterne alla comunità e la sua coltivazione è inclusa nelle attività comunitarie proprio per utilizzare direttamente ed esclusivamente il prodotto germinato a fini personali, non intendendo acquistare sostanze stupefacenti del genere di quella coltivata presso le centrali dello spaccio. Condizione, questa, confermata dal fatto che i sei siano significativamente del tutto incensurati e sconosciuti alle forze dell’ordine nonostante fumino marijuana da decine di anni.
In base alla sentenza, in attesa di conoscerne le motivazioni, sembra pertanto possibile affermare che, pur non essendo riconosciuto un diritto ad assumere sostanze stupefacenti, esista un diritto del singolo a non essere punito laddove l’uso sia strettamente personale, facendo rientrare nella sfera dell’uso personale anche la coltivazione qualora si riscontri che il fine unico della coltivazione è rappresentato dall’assunzione e, al contempo, che l’attività di coltivazione sia posta in essere dalla stessa persona che consumerà quanto coltivato. Non va poi sottovalutato il profilo socio-culturale e la circostanza che l’adesione alla fede dei pellirosse legittimi l’uso delle cosiddette “droghe leggere”.
In questo contesto l’attività di coltivazione, che le SS.UU. della Suprema Corte di Cassazione recentemente avevano stigmatizzato e individuato come condotta non riconducibile al contesto dell’uso personale, dovrà ora essere riconsiderata approfonditamente anche sul piano normativo, prima ancora che giurispsrudenziale.