di Marco Rigamo, Liberitutti
Lunedì 16 marzo 2009
Mentre a poche centinaia di metri si svolgeva il rito proibizionista e super blindato (pass con foto per entrare) della “5a Conferenza governativa sulle droghe” – un non luogo connotato dal sostanziale disinteresse di tutti i media, mentre Forum Droghe, Gruppo Abele, Lila e Antigone sceglievano di differenziarsi in una minuscola saletta dell’Hotel Jolly, anch’esso vicinissimo, i due giorni di convegno “Altra Trieste” al Teatro Miela hanno segnato quei passi in avanti che tutti coloro che si battono per un antiproibizionismo consapevole stavano aspettando da tempo.
Comunità, operatori, attivisti e aggregazioni di ogni provenienza – da Napoli a Torino, da Genova a Venezia – hanno animato due giornate ricche di discussioni, analisi e scambio di esperienze, per confluire sabato nella grossa manifestazione che ha attraversato la città con un corteo che non a caso ha sostato presso la casa di reclusione. Non solo per ricordare l’incredibile operazione giudiziaria che ha portato al sequestro in carcere di sei attivisti e frequentatori di Officina Sociale di Monfalcone, ma per ribadire anche e soprattutto che l’unico orizzonte che le politiche istituzionali indicano in tema di circolazione delle droghe è quello della privazione della libertà, incrociando proibizionismo e normative securitarie ampiamente e diffusamente applicate. Calano i sequestri di sostanze, cresce il numero delle persone segnalate all’autorità giudiziaria, aumenta il numero delle sanzioni amministrative, aumenta la percentuale dei tossicodipendenti in carcere sul totale dei detenuti, aumenta la percentuale dei tossicodipendenti sul totale degli ingressi.
Di libertà invece si è discusso dentro e fuori il teatro Miela. Se ai “buchi nel cervello” Fini e Giovanardi rispondono con la cristoterapia o con pene detentive che possono comportare anche sei o venti anni di reclusione, alle teorie surreali del dottor Serpelloni hanno risposto molti di coloro che quotidianamente, partendo dal marciapiede, dal proprio impegno soggettivo, alle numerose problematiche della droga propongono risposte di liberazione.
Di sottrazione alla sanzione penale certo, ma prima di tutto di sottrazione alla dipendenza, alla nocività, all’autolesionismo, all’alimentazione del circuito delle narcomafie. Per un consumo libero, ma soprattutto critico e consapevole.
Al progressivo smantellamento delle politiche e delle pratiche di riduzione del danno, alla crescente criminalizzazione indifferenziata dei consumi e degli stessi operatori di base non si sono opposte unicamente analisi e statistiche.
A fronte della circolazione crescente e difficilmente controllabile delle nuove droghe sono stati valorizzati gli interventi di bassa soglia, spesso oggetto di persecuzione giudiziaria. Tra i molti approfondimenti – in evidenza le diverse esperienze di pill testing del Chek-it di Vienna e del Lab57 di Bologna – si è snodato un percorso di definizione di traguardi di consapevolezza che la particolarità di queste nuove sostanze rendono ineludibile, considerati i danni che l’assunzione incontrollata può provocare. Senza dimenticare che il consumo delle sostanze più pericolose è affrontabile con criteri di rottura dei divieti e di salvaguardia della salute, come messo in evidenza dalla simulazione pubblica di una sala igienica del consumo a cura del Cso Gabrio di Torino.
Mentre dalla conferenza organizzata a Vienna dalle Nazioni Unite (dove il presidente boliviano Morales mastica foglie di coca) la Germania, a nome di ventisei paesi, rompe con il no alla riduzione del danno mettendo l’Italia – e Giovanardi in primis – in posizione di minoranza in nome di una politica che affermi il diritto a non subire la criminalizzazione di comportamenti che non costituiscono reato, da “Altra Trieste” provengono indicazioni concrete che un’affollatissima assemblea plenaria ha proposto venerdì all’attenzione collettiva.
Animata ancora una volta da quello straordinario personaggio che è don Andrea Gallo (grande il suo vaffanculo orizzontale, Gruppo Abele compreso) è riuscita a ridare attualità a parole d’ordine antiche quali il “diritto al piacere”, attraversato con coscienza e consapevolezza.
Se la tolleranza zero è rivolta a tutti, e non solo a tossicodipendenti e consumatori, è inderogabile cessare di essere spettatori della menzogna per impegnarsi a costruire Rete, incentivare forme di vita comuni contro quelle assoggettate, riconquistare i territori recuperando linguaggio e senso di comunità. Se vogliono rendere tutto illegale, se anche Livia Turco afferma che la Fini-Giovanardi non è in discussione, se la compagine governativa che ha preceduto l’attuale nulla ha prodotto su queste tematiche, allora l’illegalità diventa rivoluzionaria. Il problema non è se le sostanze sono libere, ma se le persone sono libere. Ripartire dal basso, dalla difesa della canapa, dal diritto all’autocoltivazione, attraversando in verticale tutte le peculiarità delle sostanze fino alla definizione di più mature soglie di antiproibizionismo legato a un consumo consapevole, ricollocando i confini tra uso e abuso, ridisegnando stili di vita non condizionati dallo sballo.
In queste coordinate programmatiche, nella sedimentazione di una Rete che se ne faccia veicolo e strumento esecutivo, assumono particolare rilevanza indicativa le esperienze di rottura messe a segno nelle giornate di giovedì e venerdì. L’occupazione del Sert di Verona, il cui direttore è quel Giovanni Serpelloni responsabile del dipartimento nazionale politiche antidroga della presidenza del consiglio, ideatore della teoria dei buchi nel cervello, ispiratore scientifico (si fa per dire) di Carlo Giovanardi, e l’occupazione a Trieste dell’ufficio dell’assessore regionale alla sanità Kosic – la cui politica è interamente appiattita sulle direttive governative – finalmente costretto a scendere sul terreno del confronto concreto con operatori e attivisti, indicano pratiche di intervento esportabili e condivisibili. Ben rappresentate dallo striscione appeso al balcone dell’assessorato triestino, proprio di fronte al non luogo della conferenza governativa: “La libertà è tutto!”.
Se operazioni repressive come quella di Monfalcone indicano la determinazione delle istituzioni ad utilizzare la normativa antidroga per regolare i conti con gli oppositori – e nulla fa ritenere che simili operazioni non siano ripetibili – è ancora il terreno della resistenza e del conflitto contro arresti, sgomberi, telecamere, esercito, unità cinofile e quant’altro a suggerire percorsi possibili di autodeterminazione e di liberazione da politiche che mirano al controllo totale sui nostri corpi.
Per ricordare le parole di don Gallo: Su la testa!