Droga, assolta la comunità indiana
Ha agito in buona fede coltivando le piante di cannabis
Da:
IL TIRRENO
15 – 01 – 2009
La piantagione venne scoperta nel 2007 dai carabinieri. Il giudice: «Da escludere la distribuzione ad altri. È solo per sé
GROSSETO. Tutti assolti all’udienza preliminare i componenti della comunità Hanta Yo che vive sull’Amiata come gli indiani d’America, finita sotto accusa per la coltivazione illegittima di una piantagione di cannabis indica: 79 piante che i carabinieri della Compagnia di Arcidosso sequestrarono in località Case Danti, a Santa Fiora. La coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è sempre illegittima anche se con destinazione esclusivamente personale, ricorda il giudice Pietro Molino: ma manca l’elemento soggettivo del reato, perché i componenti hanno agito in buona fede, credendo che la coltivazione fosse lecita e comunque attuandola con modalità che escludono la possibilità che il ricavato delle piantine «potesse finire in mani diverse dal rispettivo coltivatore e utilizzatore».
Con queste motivazioni – ma anche con il monito che l’ignoranza dell’interpretazione della norma non potrà essere invocata in futuro – il giudice ha assolto perché il fatto non costituisce gli reati. Il magistrato ha depositato le motivazioni della sentenza pronunciata il 14 ottobre scorso, al termine del procedimento con rito abbreviato: il pm Fabio Maria Gliozzi aveva sollecitato 8 mesi e 2.500 euro per ciascuno.
L’11 luglio 2007 i militari trovarono tre grammi di marijuana in casa Cecconi in località Casa Danti (campagne di Santa Fiora); lo stesso Cecconi li accompagnò in un piccolo appezzamento di terreno dove c’erano le piantine. Altra marijuana e semi furono sequestrati al termine delle perquisizioni.
Già all’epoca gli interessati vollero precisare di non essere né drogati né spacciatori. Anche il giudice riconosce che gli imputati sostengono che la coltivazione «risponde a una precisa finalità di utilizzo esclusivamente personale del prodotto, direttamente tratto da tale attività squisitamente domestica, rimanendo invece esclusa ogni ipotesi di distribuzione a terzi come anche ogni finalità apologetica di proselitismo o induzione all’uso di stupefacenti. Le circostanze e le stesse modalità della perquisizione svolta dai carabinieri conforterebbero l’assunto, dato atto che in una modestissima estensione del più ampio terreno sul quale è insediato il nucleo delle famiglie facenti parte della comunità Hanta Yo insiste una coltivazione di carattere esclusivamente domestico, strettamente strumentale alla esclusiva fruizione dei componenti del gruppo, addirittura ripartita per ciascuno dei ceppi familiari».
Sulla rilevanza penale, il dottor Molino non ha dubbi. Ma rileva che, come il consumo non è criminalizzato, il comportamento immediatamente precedente (la detenzione) e anche la coltivazione debbano godere di un trattamento differente, se finalizzate all’uso personale. Difficilmente si sarebbe potuta rompere la catena interna coltivazione-consumo: si tratta di persone «stabilmente occupate nell’attività artigianale in comune intrapresa, tutte vincolate da una scenta di vita comunitaria ispirata a regole necessariamente non inclusive di soggetti esterni, regole al cui interno si inserisce il ricorso saltuario all’utilizzo temperato – terapeutico? psicologico? – di droghe leggere».
Insomma, non vi sono «gli estremi per muovere un giudizio di pieno rimprovero all’attività degli imputati, la cui buona fede è evidente», perché la loro situazione elimina quella situazione di pericolo che la legge che punisce la coltivazione non autorizzata intende scongiurare.