Fonte: ADUC
28 febbraio 2011
Di: Pazienti Impazienti Cannabis
Lo scorso giovedì 24/2/11 mattina a Chieti, c’è stata una puntata doppia della infinita ed incredibile saga giudiziaria del pianista-pittore teatino Fabrizio Pellegrini, affetto da fibromialgia, e da altri disturbi muscolo-scheletrici e su base ansiosa, con a carico molti procedimenti e condanne (finora tutte in primo grado) per autocoltivazione casalinga di cannabis.
Due separati procedimenti, le cui udienze erano previste entrambe per la stessa mattina di giovedì, sono stati considerati ‘continuazione di reato’ ed unificati in un unico processo, che dopo le arringhe di accusa e difesa si sono conclusi con la abituale sentenza: condanna. Due anni di reclusione, 5.000 euro di multa (non male come trovata, anche se il Pm ne aveva chiesti 6.000, verso un paziente che si trova sotto processo a causa della sua impossibilità di pagare i 300 euro mensili per il farmaco legale); pagamento delle spese processuali; sospensione della patente di guida per un anno. Entro 2 mesi le motivazioni.
Il giudice Spiniello ha preliminarmente ricordato che Fabrizio è tuttora incensurato, mentre il Pm ha subito ammesso e dato per scontato che, come già dimostrato dai molti referti medici agli atti e dalle relazioni dei periti della difesa, Fabrizio possa fare della cannabis un uso terapeutico, e che questa possa effettivamente risultare efficace per contenere i dolori e le contratture connessi alle sue patologie. Le premesse sembravano insomma delle migliori, in stridente contrasto con tutte le udienze e le accuse nei processi precedenti. Subito dopo però, il Pm Marika Ponziani ha ricordato che l’unica possibilità ammessa per approvvigionarsi di stupefacenti a fini di cura è il canale d’accesso “istituzionale” su prescrizione medica (come se Fabrizio non lo avesse già utilizzato, fin quando ha potuto pagare per le infiorescenze standardizzate contenenti 19% di THC prodotte dal Ministero Olandese ed importate tramite la sua Asl). La Ponziani stessa aveva difeso, in altri procedimenti peraltro di “minore gravità”, l’assimilabilità della coltivazione personale alla detenzione personale, sempre puntualmente smentita in fase di giudizio, “ma il caso Pellegrini è di tutt’altra specie”. Perchè il contenuto di principio attivo nelle piante sequestrate sul balcone certamente supera le sue necessità mediche (è vero il contrario, equivaleva solo ad una piccola frazione di quanto prescrittogli, come scientificamente calcolato nelle relazioni) ed il limite previsto dalle tabelle, e perchè sia la prescrizione per cannabis che la sua patologia non lo autorizzavano comunque a violare la legge. Il reato di coltivazione, confermato di rilevanza penale anche nel caso di una singola pianta dalle sezioni unite della Cassazione (che comunque non è mai stata chiamata sinora a pronunciarsi su di un caso di coltivazione per uso terapeutico personale), era pacifico ed ammesso dall’imputato, e la condanna ineludibile. ‘Solo’ due anni quella richiesta, considerate le attenuanti del caso.
L’avvocato Marco Di Paolo ha ben argomentato la sua richiesta di assoluzione, accennando la personalità ed i motivi morali per cui Fabrizio, artista senza reddito, rifiutava di delinquere per pagarsi il Bedrocan o rifornirsi al mercato nero, come confermato dalle testimonianze dei rappresentanti delle varie Forze dell’Ordine, che nei vari procedimenti hanno tutte indagato su di lui accertando che non è dedito ad attività illecite di alcun tipo. Riguardo la coltivazione casalinga, caratterizzata da necessità oltre che dalla totale assenza di offensività verso terzi, Di Paolo si è appellato tra l’altro all’art.32 della Costituzione, all’art.51 (la fruizione di un diritto, come è quello alla salute, rende non punibile il reato commesso per esercitarlo). ed all’art.54 (stato di necessità) del codice penale. Non essendo gratuito il Bedrocan, e non volendo delinquere, che cos’altro poteva fare il Pellegrini per potersi curare, se non arrangiarsi da solo?
Inoltre, le piante sequestrate erano troppo giovani anche per poterne determinare il sesso, potevano teoricamente essere anche tutte di sesso maschile e quindi non contenere il principio attivo stupefacente.
Il Gip ed il giudice Spiniello, che a sua volta ha accolto le richieste dell’accusa condannando Fabrizio, si sono voluti mostrare a loro modo ‘benevoli’ nei confronti del Pellegrini, forse perchè impressionati dalla mole di referti medici e dalle articolate relazioni tecnica e medica illustrate personalmente, nel corso della precedente udienza, da Giampaolo Grassi, primo ricercatore dell’unico ente in Italia autorizzato alla ricerca in agricoltura sulle diverse varietà di cannabis, e dal dott. Nunzio Santalucia, uno dei maggiori studiosi nazionali sull’utilizzo della cannabis nelle varie patologie.
Infatti, a loro modo di vedere, 2 anni sono una pena minima ed accettabile, per reati che avrebbero consentito al giudice di comminare in una sola mattina a Fabrizio dai 12 anni (6+6) ai 40 anni (20+20) di carcere. Non è una barzelletta, sono le pene minima e massima attualmente previste dal nostro ordinamento per la coltivazione e/o detenzione di cannabis in quantità superiore a qualche grammo, con il ruolo della difesa che dovrebbe ridursi in sostanza ad appellarsi alla clemenza della Corte.
Non è stato così nel caso di Fabrizio, e ci auguriamo sarà lo stesso anche per i prossimi procedimenti penali contro tutti i malati ingiustamente incriminati, solo per essere stati costretti a scegliere tra la tutela della propria salute ed il rispetto di una legge ingiusta ed ipocrita, senza far danno ad alcuno. L’opzione cumulo dei processi e delle pene (che prevede una pena totale pari a quella massima, aumentata di un terzo) a Fabrizio sarebbe in ogni caso improponibile, ammontando ad almeno 20 anni di carcere, magari da scontare senza benefici in quanto plurirecidivo e quindi “delinquente abituale”. Dopo un periodo di notte della ragione così lungo e marcato, prima o poi dovrà pur spuntare l’alba, o no?
Invece il prossimo capitolo della storia infinita sarà purtroppo un anomalo e rischioso processo in secondo grado di giudizio, sempre per autocoltivazione, presso la Corte d’appello de L’Aquila. In primo grado Fabrizio fu condannato nella sua Chieti alla pena minima prevista, 6 anni, mentre lui era detenuto in carcere, e per un disguido interno non era stato neppure tradotto in tribunale ad assistere all’udienza.
L’avvocato d’ufficio presente quella mattina in aula, che tuttora non conosce Fabrizio, mai lo ha incontrato o ci ha parlato nè prima nè dopo l’udienza, non ha presentato alcuna documentazione medica o di altro tipo, nè ha riferito l’uso terapeutico personale cui le piantine sequestrate erano riservate, presumibilmente perchè lo ignorava. In appello ci si potrà basare solo su quanto emerso in primo grado e non si potranno più produrre nuove testimonianze, referti e perizie, la difesa sarà quindi oggettivamente più difficile. Fabrizio dovrà battersi con le mani legate, ma ci auguriamo tutti che non sarà solo. Con la sua fragilità e pur sentendosi a volte sfiduciato ed inadeguato, la battaglia che è nuovamente costretto a combattere riguarda tutti noi, e la sopravvivenza di un barlume di civiltà del nostro Paese.
La registrazione audio dell’intera udienza è ascoltabile, grazie ad un operatore di radioradicale preventivamente autorizzato dal giudice e presente in aula.