Introduzione alla sessione pomeridiana della audizione pubblica sul Rapporto sui mercati globali delle droghe illecite 1998-2007
di Fredrick Polak, ENCOD
Prima che questa audizione iniziasse ENCOD ha distribuito una sintesi delle conclusioni che consideriamo più importanti del Rapporto Reuter-Trautmann.
Questa mattina abbiamo ascoltato opinioni che supportavano tali conclusioni, ed altre che le contraddicevano.
Commenterò alcune conclusioni del Rapporto. Accetto le altre, che riassumo con queste parole: La politica delle droghe basata sulla proibizione ha prodotto danni enormi e pochi vantaggi, o nessuno.
Il motivo per cui abbiamo voluto partecipare all’organizzazione di questa audizione è che manca una specifica conclusione, una conclusione che consideriamo la più importante: È estremamente urgente iniziare a discutere e studiare regimi alternativi di regolamentazione legale.
Mi aspetto che questa conclusione essenziale, ma assente, sia oggetto di discussione nel corso di questo pomeriggio.
Un’altra conclusione importante è che la qualità dei dati è insufficiente a consentire raffronti tra i diversi paesi. Questo era noto fin dall’inizio. E’ inoltre ben noto che gli stati membri dell’UE non hanno mai dato alta priorità all’esigenza di migliorare la qualità di questi dati.
Ciò che colpisce rispetto a questo argomento, la mancanza di evidenze scientifiche di qualità adeguata, è che esso non viene mai utilizzato quando vengono introdotte politiche più severe.
Le politiche repressive, l’allungamento dei tempi di detenzione, i test delle urine a scuola e sui posti di lavoro vengono introdotti senza che se ne discuta a sufficienza, e senza nemmeno chiedere che si faccia ricorso alla ricerca scientifica. D’altra parte, quando si propone di mettere a sistema un nuovo metodo di riduzione del danno, dopo che questo è stato sperimentato con successo, vengono opposte molte resistenze perché, si dice, le prove scientifiche sarebbero insufficienti. La ricerca di questo tipo è sottoposta ad aspettative straordinarie.
Lo stesso succede, in scala maggiore, nella politica globale delle droghe. Tutto il cosiddetto sistema di controllo delle droghe è stato creato e diffuso nel mondo intero senza che vi fossero le prove della sua reale efficacia, ma in presenza di prove inconfutabili del danno arrecato alle persone e alle società, e delle violazioni dei diritti umani e morali dei consumatori.
Il fatto che la maggioranza dei consumatori di droghe illegali tragga piacere da queste sostanze in modo non problematico è implicito nel Rapporto, e sosteniamo la conclusione che servono ulteriori ricerche non solo sui tossicodipendenti, ma anche sui modelli d’uso dei consumatori non problematici, e sulla influenza dei diversi tipi di controllo sui consumatori e sui modelli d’uso.
“Il controllo delle droghe” (la denominazione ufficiale della guerra alla droga) è sostanzialmente una questione morale, la lotta eterna tra il bene e il male. In questa prospettiva non c’è bisogno di una analisi o di una valutazione scientifica, e ancor meno di una valutazione costi-benefici.
Non dobbiamo dimenticare che il proibizionismo non ha mai avuto alcuna base scientifica. E prima del Rapporto che stiamo discutendo oggi, non c’era mai stata una valutazione indipendente degli effetti della proibizione delle droghe.
Questo progetto enorme e ad ampio raggio dovrebbe essere visto per quello che è: un irresponsabile esperimento socio-medico imposto alla popolazione mondiale. E’ comprensibile che l’Ufficio delle Nazioni Unite su Droghe e Crimine possa vivere molto bene senza una valutazione. Lo UNODC produce il suo Rapporto Mondiale sulle Droghe (World Drug Report) e, dobbiamo ammetterlo, talvolta il dibattito sul proibizionismo, in opposizione alla regolamentazione legale, o legalizzazione, trovato ampio spazio al suo interno. Nell’ultimo Rapporto Mondiale sulle Droghe 2009 Antonio Costa, direttore dell’UNODC, ha discusso questa questione nella sua prefazione. Già il termine che ha utilizzato è interessante: “il dibattito sulla abrogazione”.
Abrogazione è il termine usato per porre fine alla proibizione federale dell’alcool negli USA, nel 1933. La legalizzazione non era in discussione a livello federale, e l’abrogazione del proibizionismo non fece altro che restaurare il diritto dei singoli stati a scegliere la loro politica. Alcuni stati optarono per la regolamentazione legale, mentre altri tennero in vita il proibizionismo, talvolta per molti anni.
Il termine “abrogazione” è interessante perché indica il modo migliore di porre fine alla proibizione globale sulle droghe. Ciò di cui ha bisogno il mondo, e di cui ha bisogno l’UE, non è una nuova politica delle droghe globale e centralista: i singoli paesi hanno il diritto di scegliere la propria politica.
Dobbiamo congratularci con la Commissione europea per aver prodotto una ricerca che ci permette di giungere a questa conclusione. Ora deve muovere da questa consapevolezza e aprire il dibattito sui sistemi di controllo alternativi. Non farlo sarebbe una negligenza e, dopo avere molto riflettuto, abbiamo concluso che l’inazione sulle opzioni politiche alternative equivale a un crimine. La politica delle droghe non deve essere crudele, ingiusta e dannosa. Essa può essere giusta, efficace e benefica.
Le convenzioni internazionali sulle droghe formano la base della politica delle droghe della UE, perciò dobbiamo essere consapevoli di quello che è successo a Vienna. L’anno intercorso tra l’incontro della CND del 2008 e quello del 2009 era necessario per preparare un Rapporto più presentabile sui 10 anni che avrebbero dovuto aprirci la strada verso un “mondo libero dalle droghe”.
Questo anno era stato chiamato “anno di riflessione”. In effetti, la riflessione non sarebbe stata una cattiva idea, considerando che negli ultimi decenni ce n’è stata così poca. In realtà l’anno di riflessione è stato male utilizzato, o distorto, per giochi politici. Per molti mesi il gruppo preparatorio si è scontrato sulla riduzione del danno e sul mancato rispetto dei diritti umani, date le modalità con cui molti paesi conducono la guerra alla droga.
In tal modo, molto tempo è andato perso su questioni che potrebbero essere relativamente facili ed ovvie. Attaccandosi a obiezioni morali superate, i proibizionisti sono riusciti a evitare che il dibattito passasse ad affrontare quella che dovrebbe essere la questione centrale: Siamo sulla strada giusta? La domanda decisiva non è quanto è tossica una droga, o quanta dipendenza induce, ma quale sistema funziona meglio. Quale sistema di regolamentazione risulta più efficace per ridurre i rischi sanitari legati all’uso di sostanze vietate? Questa domanda è tabù nel mondo del “controllo globale delle droghe”. Perciò chiediamo a tutti di battersi affinché la questione delle forme alternative di regolamentazione siano inserite nell’agenda politica dei prossimi anni.
In un recente articolo dal titolo “Making Sense of Drug Regulation: A Theory of Law for Drug Control Policy”, Kimani Paul-Emile (Fordham University, facoltà di Giurisprudenza, dicembre 2009) scrive che il peso delle evidenze scientifiche nel processo decisionale dell’ONU è scarso. Gli autori consigliano a coloro che vogliono riformare le leggi sulle droghe di non basare così tanto le loro campagne sulle evidenze scientifiche, e di concentrarsi di più sull’inquadramento delle varie questioni.
Il problema è che l’immagine pubblica sulle “droghe”, a causa del modo in cui è stata inquadrata nel corso del secolo scorso, è dominata dal crimine e dalla malattia. Paul-Emile illustra come questo fatto abbia protetto l’alcol e le sigarette, agevolando la criminalizzazione di altre sostanze intossicanti, soprattutto quelle nuove ed esotiche. L’associazione con immagini legate al crimine e alle malattie esercita una forte attrazione su molte persone, sui media e sui politici, e non sarà facile trasformare questa immagine in una valutazione più realistica del consumo di droga e dei consumatori. Questa doppia immagine negativa delle droghe fornisce ai politici l’opportunità di guadagnare voti propugnando una politica severa sulle droghe e proponendosi come persone in grado di proteggerci dal male (o dal flagello) delle droghe.
In realtà, come abbiamo detto nel comunicato stampa, la conclusione del Rapporto Reuter-Trautmann è corretta: la politica delle droghe basata sulla proibizione ha prodotto molti danni e pochi vantaggi, o nessuno. I membri di ENCOD sono arrivati a questa conclusione molti anni fa: il proibizionismo è ingiusto, inefficace e disumano.
Lo ripeto: dobbiamo congratularci con la Commissione europea per aver prodotto una ricerca che ci permette di giungere a queste conclusioni. Ora deve muovere da questa consapevolezza. Non farlo sarebbe una negligenza e un crimine.