Le convenzioni ONU non obbligano a reprimere il consumo privato e la coltivazione personale della canapa. I paesi firmatari possono dunque depenalizzarne l’uso e regolamentare la produzione in proprio senza tema di sanzioni internazionali. Queste misure formano il piedistallo di una politica ragionevole ma sono insufficienti. La produzione personale non basterà a soddisfare la domanda. Non offre tutte le garanzie in materia di salubrità della coltura e di mercato nero. Ci vuole un sistema più sviluppato di produzione e di distribuzione per minimizzare i rischi.
I parlamenti e i governi europei sono ostili alla coltivazione e alla vendita regolamentate di cannabis. Un sistema commerciale sarebbe contrario alle convenzioni, favorizzerebbe l’esportazione e il narco-turismo, comporterebbe una disponibilità eccessiva e dunque un aumento del consumo soprattutto tra i giovani. I negozi di canapa in Svizzera o i Coffeeshop olandesi sarebbero dunque troppo visibili, troppo incitativi. Favorirebbero le accuse di lassismo, di cattivo segnale, di canapa in vendita libera. E via dicendo. La soluzione più ragionevole sarebbe dunque la collettivizzazione della produzione personale. Associazioni senza scopo di lucro potrebbero riunire gli utenti che non vogliono o non possono coltivare in prima persona.
ENCOD, una rete europea di oltre 150 associazioni che intervengono nel campo delle droghe, lavora su un modello non commerciale di produzione e di distribuzione riservato ai maggiorenni, il Cannabis Social Club (CSC). I CSC sono associazioni senza scopo di lucro che organizzano la coltivazione professionale di una quantità molto limitata di canapa sufficiente a soddisfare i bisogni personali dei membri del club. La coltivazione, il trasporto, la distribuzione, il consumo devono soggiacere a controlli di sicurezza e di qualità, senza pubblicità, né insegne, né vetrine. I membri assicurano l’equilibrio finanziario del sistema attraverso il versamento di quote annuali in funzione dei loro bisogni. Ogni aderente riceve una tessera a tagliandi che corrisponde al suo credito con i massimi annuali e mensili. Non deve esserci commercio di cannabis. I membri dovranno impegnarsi a non vendere e a non incitare atre persone, soprattutto se minorenni, al consumo.
Questi circoli privati d’utenti potranno offrire ai loro soci uno spazio per il consumo di canapa in cambio di un impegno a distanziarsi radicalmente dal mercato degli stupefacenti, di una politica attiva di lotta contro la violenza stradale, di un depistaggio dei consumatori problematici per orientarli verso le strutture di prevenzione e assistenza. Le associazioni dovranno rispettare un mansionario: la vendita e il consumo di alcol saranno proibite, vigerà l’obbligo di mettere a disposizione vaporizzatori, di organizzare campagne di prevenzione contro il fumo e su altri temi sanitari come il consumo contemporaneo di diverse sostenne psicoattive e la prevenzione della violenza. Le autorità potranno limitare il numero di club e le zone in cui possono installarsi in funzione degli imperativi dell’ordine pubblico. L’assenza di lucro e la quantità limitata garantiscono che il responsabile o gli impiegati non spingeranno al consumo.
La canapa sarà coltivata secondo i metodi migliori per la salute pubblica e l’ambiente. Il mercato nero diminuirà considerevolmente e con lui i problemi che ne derivano: aumento del tasso di THC, prodotti di taglio, prezzi elevati, violenza, vendita ai minorenni, disturbi dovuti al doversi trovare all’aperto. Le autorità potranno stabilire un quadro ragionevole e controllare i CSC durante tutto il processo dalla coltivazione al consumo. I CSC possono anche creare posti di lavoro e effettuare acquisti ufficiali di merci e servizi che saranno tassabili. Questo sistema può fornire rapidamente ai consumatori un’alternativa al mercato nero.