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February 29, 2016  |  By ENCOD In BOLLETTINO

Bollettino Encod 133

IL BOLLETTINO DI ENCOD SULLE POLITICHE DELLE DROGHE IN EUROPA

MARZO 2016

POLITICHE SULLE DROGHE, DIVIETI, DIGNITÀ UMANA


Cambiano nel corso degli anni le droghe più diffuse. E cambiano la cultura, i comportamenti, gli ambienti di riferimento dei consumatori. Cambia la stessa percezione sociale del consumo di droghe (o, almeno, di alcune di esse). Una sola cosa non è cambiata dalla metà del secolo scorso: la scelta politica di affrontare la questione droghe con un rigido proibizionismo. Eppure il fallimento delle strategie proibizioniste è conclamato.

Negli ultimi decenni sono aumentati i Paesi di consumo, le sostanze utilizzate, gli assuntori (occasionali, abituali o cronici che siano), i luoghi di distribuzione (al punto che oggi le droghe sono, per chi conosce il relativo mercato, il genere di consumo di più agevole reperimento anche di notte e nei giorni festivi…). La domanda è, dunque, obbligata: esiste un’alternativa a questo fallimento (e ai fenomeni da esso indotti in termini di sofferenze personali e di costi sociali)? Per rispondere occorre uscire dagli slogan ed esaminare la situazione in modo laico.

Anzitutto una considerazione. Il sistema di governo degli stupefacenti e del loro uso non è stato sempre come quello vigente Per quanto riguarda il nostro Paese, la legge 18 febbraio 1923, n. 396 (con cui inizia la regolamentazione del settore e che, significativamente, ha come rubrica «Provvedimenti per la repressione dell’abusivo commercio di sostanze velenose aventi azione stupefacente») non puniva, infatti, in alcun modo il consumo individuale di droghe, ma sanzionava, e solo in modo assai lieve, l’«uso di gruppo» e il «traffico illecito».

Né tale impostazione subì apprezzabili modifiche con il codice penale del 1930 (pur improntato all’ideologia autoritaria del fascismo), che introdusse i reati di commercio clandestino di stupefacenti, di agevolazione dolosa all’uso e di vendita ai minori di sedici anni da parte di farmacisti, ma non prese in considerazione il consumo individuale, limitandosi a punire a titolo di contravvenzione – nell’articolo 729, ora abrogato – chi veniva «colto in luogo pubblico, o aperto al pubblico, o in circoli privati, in stato di grave alterazione psichica per abuso di sostanze stupefacenti».

L’uso di droghe – non solo da parte di quote elitarie di popolazione (i famosi “letterati e farmacisti”) ma in modo trasversale tra le classi sociali – veniva dunque tollerato e, anzi, faceva parte, in qualche modo, delle abitudini e del costume. L’indifferenza istituzionale cedeva il passo a interventi repressivi (di entità assai moderata) solo quando l’assuntore turbava l’ordine pubblico o l’altrui tranquillità.

Sostanzialmente nulla di diverso dalla disciplina degli alcoolici, di cui era vietata la vendita ai minorenni e il cui abuso veniva penalmente punito (articolo 688 stesso codice) solo in quanto produttivo di uno stato di «ubriachezza molesta» (cioè di fastidio per altri). Certo, la situazione sociale e la diffusione degli stupefacenti erano, nella prima metà del secolo scorso, assai diverse da quelle attuali, ma resta il fatto che il modello di intervento istituzionale era – pur in una società autoritaria e paternalista – esattamente agli antipodi dell’intervento punitivo.

La prospettiva proibizionista è, dunque, anche storicamente, una strategia contingente da valutare, come ogni strategia, in base ai risultati conseguiti sia in termini di tutela dei diritti individuali che in termini di sicurezza sociale. Gli esiti di questa valutazione, come già si è detto, sono sotto gli occhi di tutti: il proibizionismo è fallito sotto entrambi i profili ora richiamati. Eppure si continua come se così non fosse e, anzi, si assiste talora a un ulteriore incremento dei divieti e delle pene o a interventi paradossali come l’introduzione, nel settore, di una sorta di inedito “diritto penale dell’apparenza”.

L’art. 73, comma 1 bis, lett. a, del testo unico stupefacenti, come modificato con la legge n. 49/2006, prevede, infatti, la punibilità della detenzione (e condotte assimilate) di «sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità […], ovvero per modalità di presentazione […], ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate a un uso non esclusivamente personale», dove la rilevanza penale della condotta è ricollegata non già all’essere ma all’apparire.

La ragione di questo atteggiamento sta, a ben guardare, in un pre-giudizio tutto ideologico, centrato sulla contrapposizione tra bene e male, dove “il male” sta nella droga e nel suo uso. Inutile dire che, in questa contrapposizione manichea non c’è posto né per le verifiche dei risultati né per le persone, annullate nella loro soggettività e dignità e ridotte a comparse, senza volto né anima, di una crociata. Il braccio armato di questa guerra ideologica, poi, è la repressione penale, fondata, a sua volta, sull’assunto, tanto fallace quanto tranquillizzante, che vietare significhi impedire e che la minaccia e la pratica della punizione – a maggior ragione se severa – determinino di per sé, in maniera quasi automatica, la riduzione dei comportamenti “devianti” (nella specie, l’uso di sostanze).

Se si abbandona l’ideologia e si guarda ai fatti, peraltro, la ricerca di metodi di intervento alternativi non è un azzardo ma una necessità. Questa necessità ha il nome e la prospettiva della sperimentazione, cioè di metodi di approccio (non salvifici, ma) ragionevoli, sottoposti a verifiche e controlli rigorosi, secondo l’approccio tipico della ricerca scientifica e dell’agire sociale. Ciò significa in concreto, nel settore degli stupefacenti, perseguimento di politiche di «riduzione del danno», cioè di una strategia di contenimento dei rischi legati all’assunzione di sostanze psicoattive attraverso interventi di diversa natura (dallo scambio di siringhe al consumo controllato, per fermarsi ai più noti).

Una strategia pragmatica, dunque, ma non rinunciataria, trasformatasi, negli anni, in vera e propria politica sociale, che ribalta l’opzione culturale sottostante al proibizionismo (perseguimento dell’astinenza attraverso la punizione e l’esclusione sociale) e propone una prospettiva inclusiva idonea a determinare e favorire, da un lato, scelte individuali responsabili (ivi compresa, ovviamente, la fuoruscita dall’uso della sostanza) e, dall’altro, la crescita della soglia di tolleranza sociale nei confronti dell’uso di droghe. Ricadute immediate di questa strategia – merita sottolinearlo – sono la centralità delle persone (anziché delle sostanze), ponendo al centro la loro dignità e i loro diritti, e il trasferimento del luogo principale di governo del settore nelle politiche della salute (anziché nel diritto penale).

Di Livio Pepino


Livio Pepino è stato giudice di Cassazione e membro del Alto Consiglio della Magistratura, organo di autogoverno dei giudici italiani, Co.direttore di Narcomafie del Gruppo Abele ,è stato procuratore generale di Torino. Autore di numerosi libri ed articoli sulla mafia,tossicodipendenze e stigmatizzazione sociale.

NOTIZIE DALLA SEGRETERIA

Nel corso di questo mese una delegazione di Encod parteciperà all’incontro annuale della Commissione delle Nazioni Unite sulle Droghe Narcotiche e si preparerà per l’UNGASS( vedi sotto).

flyer_19_eng.jpg

TRIBUTO A MADRE TERRA

Dal 19 al 21 aprile 2016, i leader mondiali si incontrano a New York per discuter il problema mondiale delle droghe in una Sessione speciale della Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGASS).

In tutto il mondo, gli scienziati, le autorità locali e i cittadini coinvolti sanno che il problema reale delle droghe é causato dalla proibizione.Anche all’interno degli USA,che avevano imposto questa politica a livello mondiale per decenni, le cose stanno cominciando a cambiare.

E’ ora di sostituire la guerra alle droghe con politiche che accettino il diritto dei cittadini di avere accesso a delle sostanze che- se utilizzate con responsabilità e trasparenza- possono portare molti benefici a loro come pure alla società nel suo insieme.

Noi invitiamo tutti quelli che intendono sostenere questo messaggio alla UNGASS 2016 a partecipare ad un tributo a Madre Terra, una cerimonia ancestrale delle Ande, che chiamerà per una pace alle piante e ai popoli che convivono con esse.

flyer_20_eng.jpg

DIPENDE DA TE, NEW YORK

Unitevi a noi in una manifestazione per farlo sapere alle Nazioni Unite

Noi vogliamo metter fine a delle leggi che criminalizzano l’uso e il possesso di droghe per uso personale

Noi vogliamo eliminare ogni divieto di sostegno per i servizi di riduzione del danno

Noi vogliamo assicurare l’accesso per trattamento basato sull’evidenza fondato su compassione e scienza.

Noi vogliamo l’accesso alle medicine come la cannabis, l’ibogaina, l’MDMA, e altre sostanze che sono state dimostrate per molto tempo aiutare una varietà di condizioni da esser considerate un diritto umano universale.

Noi vogliamo l’amnistia per tutte le persone non violente processate per droga, riparazione e la restaurazione dei loro diritti civili.

Noi vogliamo la promozione di una coltivazione di canapa organica e rispettosa dell’ambiente per sostituire risorse come gli alberi e il petrolio per combustione,fibra, polpa e plastica.

Noi vogliamo metter fine alla persecuzione della distribuzione gratuita di cannabis per scopi medici , in circostanze appropriate, a pazienti seriamente malati, l’agricoltore al conoscitore, i produttori supportivi di un reddito che assicurerà una vita decente ed una educazione per i loro figli.

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