Fonte: Radio K Centrale
Di Enrico Fletzer
8 Giugno 2010
Ospite della BBC, Antonio Maria Costa, direttore dell’Ufficio Droghe e Crimine delle Nazioni Unite ha riferito di una infezione fungina che avrebbe danneggiato per oltre due terzi le coltivazioni di papavero sonnifero in Afghanistan, una produzione che secondo Costa è ormai ristretta a poche province controllate dagli insorgenti e in cui si è prodotto lo strano fenomeno.
Alcuni contadini afghani sostengono che l’epidemia sarebbe stata causata dalla Nato. Parlano di una strana polvere bianca stesa sui campi che sarebbe stata originata dall’alto. I sospetti sono in questo caso del tutto giustificati anche se le circostanze non sono ancora del tutto chiare. Anche perché nel caso della guerra alle droghe si dimostra ancora più valido il detto secondo il quale la prima vittima è sempre la verità.
Nell’ottobre 2002 era stata la stessa BBC a passare un interessante documentario intitolato “La guerra segreta della Gran Bretagna contro le droghe “. Le agenzie di Londra e Washington hanno da sempre dimostrato grande interesse nello studio di armi biologiche antidroga che pur rifiutate dalle assemblee delle Nazioni Unite, sono state oggetto di una ricerca sponsorizzata nello stesso anno dallo Programma di Controllo delle Droghe di Vienna.
Nella letteratura scientifica sono noti i casi di infestazioni di piantagioni lecite ed illecite di canapa, coca e papavero. Il papavero sonnifero è coltivato massicciamente in India, in Turchia e in alcuni paesi europei come la Spagna per la produzione di farmaci.
Non ci sono quindi conferme né smentite dell’esistenza di una guerra biologica della Nato in Afghanistan anche se l’ improvviso crollo della produzione potrebbe sembrare il risultato di ricerche lanciate in contemporanea con la cosiddetta “soluzione finale” perorata a New York nel 1998 dall’italiano Pino Arlacchi, allora direttore esecutivo dell’Ufficio Antidroga delle Nazioni Unite.
In quel contesto lo slogan: “Un mondo libero dalla droga. Possiamo farcela” fu in effetti accompagnato dalle ricerche di cui sopra. Con modalità che nel migliore dei casi ricordano le ricerche attuate in Italia per ottenere i primi esemplari della cosiddetta “canapa tricolore” sponsorizzate ai tempi del Ministro Mancino.
Uno slogan tanto ingombrante ed imbarazzante da convincere il successore di Arlacchi, Antonio Maria Costa ad imporre un anno di riflessione alle Nazioni Unite in coincidenza con la scadenza del decennale 1998-2008. Una riflessione peraltro mai avvenuta nel Vienna International Center dal momento che il Piano Arlacchi sarebbe stato riproposto fino al 2019.
Intanto la BBC continua a ripescare tra i suoi archivi, evidenziando che ricerche ed applicazioni di armi biologiche per la distruzione di coltivazioni illecite di cannabis, coca e papavero sono state intraprese fin dagli anni Settanta dai servizi americani ed ampiamente contestate in America Latina.
Secondo il Sunshine Project, sotto la gestione Arlacchi, l’UNDCCP di Vienna, il Programma di Controllo delle Droghe e di Prevenzione del Crimine da lui diretto dal 1997 al 2002, avrebbe continuato le ricerche negli ex laboratori delle armi biologiche sovietiche di Tashkent, ideati ai tempi dell’Urss per distruggere in caso di conflitto globale le coltivazioni industriali ed alimentari dei paesi della Nato.
L’uscita di Arlacchi avvenne in un clima di pesantissime polemiche anche da parte degli antiproibizionisti e fu accompagnata da terribili attacchi sferrati dal Financial Times che fece una terribile caricatura del sociologo calabrese, dedicandogli un pezzo titolato “A Dog’s Life”, “La vita di un cane”.
La BBC in questi giorni ha nuovamente riconfermato come USA e in particolare la Gran Bretagna avessero finanziato con 100,000 sterline stanziate nel 2002 una ricerca condotta dallo scienziato uzbeko il professor Abdukarimov e dal ricercatore britannico Mike Greaves. Un programma coordinato dal United Nations Drug Control Program.
The Times aveva citato una fonte governativa britannica che affermava come “interi campi si fossero seccati e fossero morti” durante i test del fungo attuati in Tagikistan e in Kirghizistan. “E’ un’arma potente. Noi stiamo solo aspettando per il via libero,” affermava la fonte. Secondo una nota confidenziale del Foreign Office citata dal Times, “L’oppio … sarà distrutto ben presto. … E’ possibile immaginare l’Afghanistan senza una industria della droga per la prima volta in un decennio.” Erano i tempi del programma statunitense SCOPE (Strategy for Coca and Opium Poppy Elimination), che prevedeva l’utilizzo di funghi per attaccare oppio, coca e anche canapa e che era stato rigettato all’assemblea generale dell’ONU nel 1998.
Ma gli stessi partner continuarono la ricerca presso l’Istituto di Genetica a Tashkent, in Uzbekistan (un ex sito di ricerca delle armi biologiche sovietiche) dove fu studiato il Fusarium Oxysporum f. sp. Erythroxyli, scoperto casualmente a seguito della distruzione casuale di una piantagione di coca delle Hawaii.
Il Dipartimento statunitense dell’Agricoltura (USDA) sviluppò il carattere “Isolate EN-4,” che doveva servire per sradicare le piantagioni illegali in Colombia, mentre nell’Asia Centrale fu la Pleospora papaveracea l’obiettivo dei ricercatori di Tashkent, Uzbekistan. Con lo stesso istituto nel febbraio 1998, l’UNODC stipulò un contratto per sviluppare la biotecnologia con test su campo svolti in paesi dell’Asia centrale. Contemporaneamente ricerche significative furono continuate nei laboratori di Beltsville, nel Maryland. Nell’agosto del 2002 un gruppo di scienziati dell’Asia Centrale, invitati in un laboratorio del Tennessee, proposero uno sviluppo ulteriore della ricerca sponsorizzata dall’ONU tra il 1998 e il 2002 affermando che l’agenzia e Michael Graves avrebbero partecipato al nuovo progetto.
Da allora di questi esperimenti non ho più trovato tracce evidenti. Di applicazioni effettive e di guerra biologica non si parla anche perché le armi biologiche sono assolutamente vietate dalle Convenzioni internazionali, che però sembrano aver poco valore in Asia Centrale se si pensa al fenomeno della tortura e dove il rispetto dei diritti umani o della biodiversità sembra un optional.