Fabrizio Pellegrini, malato di fibromialgia, é arrestato a Chieti con l’ennesima oscena coreografia che accompagna questi casi. E’ accusato di spaccio per la detenzione di cinque piante di canapa che gli servono per curarsi.
Le sue traversie giudiziarie iniziano ben prima del decreto Turco che ha introdotto fin dal 2007 la possibilità di qualunque medico operante in Italia di prescrivere la cannabis.Con un perdurante tocco di classe perché la legge non autorizza i pazienti a coltivare la propria medicina e quindi a curarsi qualora non dispongano dei mezzi necessari.Ostacolandone di fatto il diritto alla salute e favorendo sempre e comunque il mercato nero, la criminalità più o meno organizzata.
Il tema è controverso. Per alcuni il paziente è re. Per altri si tratterebbe di mantenere comunque un controllo assoluto su una sostanza riconosciuta terapeuticamente più sicura dell’aspirina.Ma è indubbio che il dispositivo rappresenti un formidabile strumento di oppressione per i giovani e le minoranze politiche ed etniche.
Sul filone dell’autodeterminazione dei malati se non quello di noi comuni mortali ormai l’Italia sembra pronta a voltare pagina. Ma non a Chieti, la città scelta da Mussolini per celebrare un processo piuttosto delicato per il nascente regime fascista, quello agli esecutori materiali dell’uccisione del parlamentare socialista Giacomo Matteotti.
Anche nel nostro caso il silenzio dei democratici è stato finora assordante.
Dopo il suo arresto Fabrizio è stato rapato a zero. Un elemento che potrebbe indicare la volontà di spezzarne l’identità di Fabrizio. Prefigurando c trattamenti che le Convenzioni delle Nazioni Unite equiparano alla tortura ma che in Italia sono considerati normali. La situazione del musicista teatino indica, come se ce ne fosse bisogno, un grave vulnus nella nostra democrazia del diritto alla cura e all’autodeterminazione in un paese che tollera ampiamente la tortura. Una tortura rinforzata nel nostro caso da una legge ingiusta che gli impedisce di avere un accesso sicuro alla sua medicina fuori dal circuito carcerario o criminale.
Fabrizio è detenuto nella città della camomilla come l’aveva definita il giornalista bolognese Alberto Mario Perbellini venuto a Chieti per seguire il processo Matteotti ,un contesto anestetizzato atto ad ospitare il processo agli esecutori materiali di quell’omicidio inspirato dal Duce in persona.
Nel nostro caso il tentativo di narcotizzare l’opinione pubblica è costituita dalla volontà delle autorità locali di impedire ad un cittadino di curarsi, alla faccia dei diritti dell’uomo e del malato. Ma vale anche un’ulteriore considerazione:la permanenza in carcere di Fabrizio Pellegrini è incompatibile non solo con la sua salute ma anche con la nostra democrazia.
Enrico Fletzer