Tra i rappresentanti politici che nel 2016 hanno riprodotto una virata verso il populismo autoritario di destra nel mondo si iscrive in pieno Rodrigo Duterte, ex sindaco della città di Davao diventato presidente delle Filippine nell’anno che va per concludersi. Le sua politica di lotta alla criminalità ed all’uso della droga diffuse nel paese hanno prodotto migliaia di morti, attirando gli occhi e le preoccupazioni dell’opinione pubblica e di diverse organizzazioni umanitarie. Eppure l’impressione, anche questa volta, sia che la svolta a destra del paese non sia frutto del caso o di un evento naturale come un tifone, ma di un neoliberismo andato in tilt la cui governance, che nelle Filippine per decenni ha avuto una forma politica istituzionale liberal – democratica, sia in crisi, perché foriera di una violenza economica liberista mal sopportata dalla popolazione. Ne abbiamo parlato nell’intervista di seguito con Sonny Melencio, comunista veterano delle Filippine residente a Manila, segretario del “Partido Lakas ng Masa”, “Partito delle masse lavoratrici”, fondato nel 2009.
Il 2016 è stato l’anno delle elezioni per il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, ex sindaco di Davao City, una destra populista che ha spazzato via la vecchia oligarchia politica rappresentata dal partito liberale alla guida del governo delle Filippine dagli anni ’80 . Come è stata possibile la sua vittoria politica ed affermazione nel paese?
Duterte ha vinto con 16 milioni di voti, circa il 30% su circa 50 milioni di voti. Quindi in realtà non ha avuto un supporto così schiacciante. Altri presidenti hanno ottenuto maggiori preferenze, solo che Duterte ha potuto giocare su una base sostenitrice molto più solida di quella dei suoi avversari, forte – soprattutto – di un bacino elettorale alimentato da chi ha definitivamente rinunciato a sostenere quella serie di governi che si sono susseguiti dalla caduta della dittatura di Marcos nel 1986. Cory Aquino, la vedova del senatore assassinato Ninoy Aquino, ha governato dal 1986 al 1992, seguita poi dal generale Fidel Ramos; poi Joseph Estrada (il presidente attore cinematografico deposto dalla rivolta di Edsa, poi Gloria Macapagal-Arroyo, e, infine, il figlio di Cory Noynoy Aquino che ha tenuto la presidenza dal 2010 al 2016. I sostenitori di Duterte hanno bollato i governi precedenti come “Yellow” – “Gialli” (in riferimento al colore utilizzato dagli Aquino nell’opporsi a Marcos). “Giallo” stava di fatto a significare la vecchia oligarchia che gli Aquino hanno impersonificato e la ricchezza ed il potere di cui hanno usufruito dopo la caduta del dittatore Marcos. La campagna politica di Duterte durante le elezioni si è nutrita del malcontento delle masse operaie contro la cosiddetta dirigenza “Gialla”, che non è riuscita a fornire il benessere e fare gli interessi delle fasce sociali più povere. E così se da una parte la partecipazione popolare cresceva a cascata, dall’altra Duterte sollevava lo slogan “il cambiamento è arrivato”. Nella sua campagna elettorale ha anche giocato sulla paura delle masse, dalla classe operaia alle classi medie, sui problemi della droga e della criminalità. Il paese sta vivendo tutt’oggi un degrado sociale determinato da decenni di governo neoliberale che ha diffuso una disuguaglianza sociale molto spiccata, una caratteristica della maggior parte dei paesi più in difficoltà economico – sociale oggi che vengono oppressi in maniera rapace e sfruttati dal capitalismo globale. I lavoratori stranieri filippini e le loro famiglie cadono nel tranello della malavita; le classi medie sono spesso vittime di rapine dentro e fuori le loro case; così la conseguenza è stata che diversi gruppi di affari hanno supportato Duterte anche in base a questa campagna contro la crescita della criminalità organizzata e non. Non c’è da stupirsi che Duterte ha avuto un’alta percentuale (92+%) dei rating di fiducia nei sondaggi durante i suoi 100 giorni di ufficio. Tuttavia, il sostegno di Duterte da parte dei poveri è in lento declino ad oggi (dopo i suoi primi 100 giorni presso l’ufficio governativo), come molte persone che esprimono il loro dissenso nei confronti delle uccisioni di massa (oggi conta più di 6.000 uccisi), che avvengono nei quartieri poveri; mentre le promesse di aumentare il benessere sociale per i poveri da parte di Duterte non sono state mantenute fino ad oggi. Durante la campagna elettorale, il Partito Liberale ha insistito sul vecchio e banale slogan di continuare la “Daang Matuwid” (letteralmente “Il Percorso diritto e pulito”) per rendere riconoscibili le cosiddette realizzazioni di Noynoy Aquino contro la concussione e la corruzione nel governo. Si è scoperto che questo slogan è stato il bacio della morte – molte persone non hanno creduto che il Daang Matuwid abbia portato benefici. La corruzione, la negligenza del governo, il peggioramento della criminalità hanno tormentato la Aquino e le amministrazioni precedenti. Duterte sta solo continuando le politiche neoliberiste delle amministrazioni precedenti. Il suo programma economico in 10 punti ruota intorno a più privatizzazioni, più PPP (partnenariato pubblico-privato), e le politiche fiscali e monetarie favorevoli delle grandi imprese. Egli, tuttavia, continua le sue promesse di programmi più assistenza sociale ed a favore delle fasce deboli della popolazione, ma attualmente non vi è traccia di nessun programma politico che vada abbia realmente questo obiettivo.
Considerando la sanguinosa politica di Duterte contro i trafficanti di droga, si può parlare di una svolta autoritaria del paese?
Sta diventando chiaro a molti che la strategia di Duterte nella sua crociata personale contro la droga è sostanzialmente quella di uccidere il maggior numero di tossicodipendenti e spacciatori possibili per creare un effetto – terrore. Non ha solo bisogno di una legislazione autoritaria. Una volta che verrano a crearsi forme di resistenza contro questa strategia violenta e repressiva attuata nella lotta alla droga, e ci saranno forme di opposizione contrarie alle sue politiche draconiane, Duterte dovrà reprimere l’opposizione e può avere bisogno di imporre la legge marziale ed installare una dittatura. Il paese è in uno stato di emergenza in questo momento, e Duterte ha parlato circa le necessità per una legge marziale di volta in volta.
Duterte viene descritto come un leader che rivendica maggiore autonomia dall’influenza degli Stati Uniti. Come valuti la politica estera da lui adottata?
Duterte ha minacciato più volte di tagliare i legami militari con gli Stati Uniti (e anche lasciare le Nazioni Unite) in seguito al giudizio espresso dal rappresentate ONU americano rispetto alla violazione dei diritti umani sotto la sua amministrazione. In realtà, non si tratta che di buona retorica. Duterte ha visitato la Cina di recente ottenendo a sorpresa un sostegno economico e commerciale, tra cui l’allentamento di restrizioni per i Filippini per pescare nelle acque contestate intorno alle barriere coralline e banchi nel Mar Cinese. Duterte sta cercando di allineare il sostegno di Cina e Russia, e questa è stata chiamata una “politica estera indipendente” della sua amministrazione. Con l’elezione di Donald Trump, che dimostra di avere un atteggiamento di maggiore vicinanza con Duterte (il neo – leader filippino si è vantato di aver ricevuto una telefonata amichevole da Trump di recente), si potrebbe alleggerire la sopracitata tensione con gli Stati Uniti.