Qualche riflessione sulla bocciatura della legge della Fini-Giovanardi
di Marco Rigamo
13 / 2 / 2014
La Corte Costituzionale ha cassato la legge cosiddetta Fini-Giovanardi in materia di circolazione delle sostanze stupefacenti dichiarandone l’illegittimità costituzionale e determinando nel concreto il ripristino del quadro normativo della precedente Iervolino-Vassalli. Con conseguenze non indifferenti anche in ordine alle pene detentive e ai reati legati all’uso e alla cessione delle sostanze.
Ci sono voluti otto anni: con la legge n.49 del 2006 il Governo rivestì di tolleranza zero la disciplina sanzionatoria penale senza incontrare resistenze significative. Dopo il fallimento dell’originario Ddl di oltre 100 articoli presentato a fine 2003, l’allora Ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi fece approvare a colpi di “fiducia” un maxi-emendamento al decreto legge sulle Olimpiadi. Tre i capisaldi del testo. L’abolizione della distinzione tra droghe leggere e pesanti e delle tabelle relative. La parificazione, nell’assistenza ai tossicodipendenti, tra strutture pubbliche e private. L’orientamento verso queste ultime in materia di programmi terapeutici di recupero e misure alternative alla detenzione. Un quadro sanzionatorio identico per chi cede derivati della canapa o eroina, con pene detentive che possono arrivare fino a 20 anni “per chi coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce, consegna” qualsiasi tipo di droga. Per chi si limita al consumo le sanzioni amministrative prevedono la sospensione di patente, passaporto, permesso di soggiorno, ritiro di patente e fermo del ciclomotore. Le misure aggiuntive di pubblica sicurezza contemplano l’obbligo di rientro presso l’abitazione a orari determinati, l’obbligo di presentarsi almeno due volte a settimana alla Polizia, il divieto di frequentare locali pubblici e di allontanarsi dal Comune di dimora. Spazzato via il principio della modica quantità dimostrare di essere un semplice consumatore diventa molto più difficile potendo il giudice ispirarsi a nuovi principi quali le “modalità di presentazione”, il “confezionamento frazionato” ecc. (tre o quattro canne già preparate configurano il reato di spaccio).
Qualche passo indietro. La seconda conferenza sulle tossicodipendenze di Napoli nel ’97 sembrò segnare un approccio nuovo al problema. Le politiche di riduzione del danno apparvero in grado di orientare le strategie d’intervento. Ridurre il danno, il dolore, il rischio, contrastare la morte, la malattia, la marginalità, puntare sempre al recupero: una sfida sostenuta da larga parte della comunità scientifica. Si aprì un periodo in cui vennero alla luce progetti speciali a livello centrale e interventi concreti nei territori delle periferie, perlopiù legati all’agire di municipalità illuminate. A questa prima fase di sperimentazione positiva ne seguì subito una seconda in cui lo scontro slittò dal terreno delle strategie a quello della politica. Il problema della circolazione delle droghe venne inglobato – assieme a immigrazione, prostituzione, tutto il tema della sicurezza in generale – in un macrosistema squisitamente politico: l’ordine pubblico. Operazione tendente a far passare in secondo piano i risultati positivi e le esperienze concrete di altri paesi d’Europa.
Nel frattempo esplodevano le cosiddette nuove droghe, mettendo in luce un nuovo soggetto consumatore, caratterizzato da una forma diversa di dipendenza, certamente meno oppressiva di quella da eroina, ma non per questo oggetto di minori attenzioni sul piano repressivo: le retate a danno di adolescenti sorpresi a fumare o a passarsi una pasticca si moltiplicavano. Il carcere tornava ad assumere centralità nelle strategie di contrasto alla diffusione. Il clima di avvicinamento alla successivaconferenza di Genova (novembre 2000) fu segnato ancora degli effetti positivi dei percorsi tentati con successo, della positività di nuove spinte e nuove tendenze. Ci si attendeva la determinazione a fissare punti fermi dai quali non fosse possibile tornare indietro: la valorizzazione delle sperimentazioni più felici e delle proprietà terapeutiche della canapa, l’introduzione del “pill testing”, nuove aperture ai successi ottenuti in altri Paesi, l’indicazione di frontiere ancora più avanzate. Pur registrando che era invece proprio il carcere la risposta più diffusa e praticata ai problemi legati alle tossicodipendenze.
Pochi mesi dopo, il potere passato nelle mani del centro-destra, di quali mani si trattasse si ebbe subito una nitida esemplificazione a luglio 2001, proprio a Genova. Il calo di tensione dentro i movimenti sul tema droghe iniziò lì, da quella nuova stagione repressiva: dalle centinaia di processi per episodi di conflitto sociale, dalle giornate contro la guerra, dai processi-mostro di Genova e Cosenza, dall’esercizio del diritto di resistenza, dalla strenua difesa di ogni spazio conquistato e dei diritti dei migranti, dal sabotaggio dei Cpt, dalla libertà personale drasticamente ridotta anche solo attraverso sanzioni amministrative, dal susseguirsi di assassinii di Stato. Le statistiche epidemiologiche affermando che la mortalità per droghe leggere è pari a zero, che non danno assuefazione e che non sono il tanto temuto “ponte” di passaggio alle droghe pesanti, in particolare all’eroina: di quel 55% che a 18 anni fa uso di cannabis solo lo 0,8% passa all’eroina. Affiancando la classifica dei rischi scientificamente dimostrati non abbiamo oggi difficoltà a verificare che il tabacco causa 80 mila morti all’anno per diversi tumori, seguito dall’alcool il cui abuso provoca 30 mila morti all’anno e dall’eroina che, direttamente o indirettamente, ne provoca migliaia.
Mentre il principio di non punibilità del consumo viene tolto di mezzo le politiche di riduzione del danno diventano un ricordo lontano, le comunità di recupero prosperano in maniera sempre meno trasparente, la repressione aumenta. La lettura del fenomeno viene data da 80 mila segnalazioni all’anno alle Prefetture per uso di canapa e derivati, da diffusa microcriminalità connessa alla tossicodipendenza, da uso personale per cui non viene messo a segno un riferimento certo, da intervento dei Sert ridotto a carattere prevalentemente farmacologico, da assenza di strutture in grado di colmare il vuoto tra carcere e comunità terapeutiche, da malati di Aids al 90% tossicodipendenti, da distorsione del concetto di sicurezza ad uso delle politiche di comando e di controllo sociale, dal 38% dei detenuti dovuto agli effetti della legge. Ora in attesa che la Corte Costituzionale renda pubbliche le motivazioni della sentenza va messo in evidenza che ad essere cassato è il sistema di inserimento fraudolento nella decretazione d’urgenza della Fini-Giovanardi e nonautomaticamente anche la sostanza del suo contenuto. Di necessità si torna per ora alla vecchia distinzione tra droghe leggere e pesanti, ma – sottolineando che ci sono diecimila detenuti che andrebbero rimessi subito in libertà – questo è solo il punto da cui ripartire.
E’ un’occasione per riorganizzare il nostro punto di vista, rifondare una condivisione culturalepossibile. Chiedersi se davanti alla complessità del fenomeno la vecchia distinzione ha ancora senso, non debba essere aggiornata e soprattutto sganciata dalla sanzione penale – cautamente azzardo: droghe ludiche, pericolose, nocive, letali? Rivedere la realtà delle sostanze sintetiche, dei loro effetti, della loro diffusione. Indagare le percentuali di contenuto effettivo: in una cessione al minuto di coca la sua presenza concreta è attorno al 5%, in una pastiglia bulgara nessuno sa cosa c’è. Censire le centinaia di veleni che vengono adoperati nelle droghe di sintesi e rendere legittima l’autoanalisi. Analizzare il venir meno della proibizione in aree del mondo in cui il narcotraffico provoca un cortocircuito con le dinamiche di accumulazione capitalistica. Attualizzare il difficile terreno dell’abuso, ivi compreso quello di sostanze del tutto legali e ricollocare le soglie di dipendenza. Rivendicare la non nocività, l’uso terapeutico e la legittimità di coltivazione della canapa. Pretendere un’amnistiaimmediata in luogo della revisione dei processi risultato di una normativa illegittima e ladepenalizzazione di ogni consumo. Connettere la repressione specifica a quella più generalizzata che attiene alle dinamiche del conflitto sociale. Riflettere sui limiti espressi dai movimenti negli ultimi anni e rideterminare iniziativa. Un’occasione per piantarla. Un’occasione da non perdere.