10-01-2008
Sulla canapa indiana la Cassazione fa indietro tutta e rinnega le aperture sulla non punibilita’ delle piccole coltivazioni domestiche pronunciate nei mesi scorsi, anche se seguite da un intervento ‘restrittivo’ del Primo presidente di Piazza Cavour Vincenzo Carbone. La Suprema Corte, con la sentenza 871 depositata oggi dalla Quarta sezione, ha confermato la colpevolezza (l’entita’ della pena non e’ riportata) per la coltivazione di otto piantine di cannabis di Lucia C., una donna messinese di 43 anni che le teneva sul balcone di casa.
Senza successo il suo legale -contro la condanna emessa dalla Corte d’Appello di Messina nel 2004- ha fatto ricorso agli ‘ermellini’ chiedendo l’assoluzione in considerazione dell’esiguita’ del numero delle piantine e dell’uso personale al quale erano destinate. Ma i supremi giudici hanno risposto che costituisce fatto ‘criminoso’ ogni qualvolta ‘venga coltivata anche una sola piantina vitale ed idonea a produrre sostanza stupefacente’.
Lo scorso maggio, invece, la Sesta sezione -sentenza 17983 aderente ad un orientamento espresso da questa stessa sezione sin dal 1994- aveva affermato che non e’ reato coltivare nel giardino di casa qualche piantina di canapa perche’ cio’ ‘equivale alla detenzione per uso personale’ depenalizzata dal referendum. Cosi’ veniva assolto un ragazzo romano che coltivava cinque piante di ‘maria’ nel giardino.
Nemmeno tre mesi fa, alla fine di ottobre, sempre la Sesta sezione -sentenza 40362- aveva confermato l’assoluzione di un uomo di Genova che coltivava piantine nella vasca da bagno per venderle in vasetti ornamentali.
Il via libera alla coltivazione a scopo decorativo, anche se ammessa solo per ‘piantagioni’ in piccola scala, aveva suscitato polemiche tanto che il primo presidente della Cassazione Vincenzo Carbone, in un comunicato, aveva puntualizzato: ‘La coltivazione domestica di piante di canapa indiana e’ legittima solo quando siano specificamente provate in fatto la irrilevante quantita’ e l’assenza di destinazione all’uso di terzi’. Adesso l’orientamento permissivo della Sesta sembra passato di moda.
Quel che e’ certo e’ che per i giudici della Quarta sezione la ‘liceita’ della coltivazione delle droghe’ non e’ ammessa da alcuna legge – ne’ dalla normativa riscritta nel ’93 dopo il referendum, ne’ tanto meno dalla recente legge ‘Fini-Giovanardi’ -‘in nessun modo’.
A questo punto non e’ da escludere che la questione sulla punibilita’ o meno delle piccole coltivazioni finisca all’ attenzione delle Sezioni Unite della Cassazione che risolvono i punti di vista contrastanti affermati dalle singole sezioni.
Soddisfazione per il pronunciamento della Corte di Cassazione e’ stata espressa questa sera da Giovanni Serpelloni, direttore del dipartimento delle dipendenze dell’ULSS 20 di Verona e direttore del Programma Regionale sulle Dipendenze del Veneto.
Secondo il medico, ‘la sentenza porta chiarezza in un contesto troppo spesso popolato di sofismi e distinguo, che fanno perdere di vista il comune obiettivo della prevenzione e della lotta alla droga in ogni sua forma. Se vogliamo rendere efficaci i programmi di prevenzione destinati in particolare ai giovani – spiega Serpelloni – dobbiamo innanzitutto mandare loro messaggi chiari: non esistono droghe pesanti e droghe leggere, perche’ tutte le droghe danneggiano il cervello’.
Per il medico la disquisizione sul poter o meno coltivare una quantita’ limitata di piante di cannabis nelle abitazioni private per uso ornamentale ‘era un vero e proprio affronto all’intelligenza del popolo italiano e un pericoloso rinforzo dei fattori di rischio che portano i giovani al primo consumo e poi alla dipendenza dalle droghe’.